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The Diary
The Solidarity
Scuola EDEN e Ousmane (Mali)
2008-01-03
In questo quartiere popolare alla periferia di Bamako ci sono moltissimi alloggi. Piccoli, nuovi e modesti. Fra essi, lungo strade che forse in un fu...
Mali

Diboli Entriamo in Mali – 26 dic 2007

Al posto di polizia e alla dogana sono molto rilassati e in pochi istanti sistemiamo tutte le formalità.
Nessuna richiesta di denaro illecita.
Solo un problema col nostro “carnet de passage”.
Sul retro di copertina sono segnati tutti gli stati in cui questo documento è riconosciuto.
Sul nostro mancano almeno 10 stati, fra cui il Mali.
E’ una copertina che l’ufficio di Modena dell’ACI ci ha consegnato.
Abbiamo pagato ben 160 euro per un documento che ci provoca problemi.
Evviva!
VERIFICATE se ne avete bisogno che ci siano tutti gli stati!

Racconto del doganiere gentiluomo.

Il doganiere guarda il documento come se fosse la prima volta che lo vede. E forse è vero. E’ un ufficiale e di solito non si occupa di timbrare scartoffie.
Lo gira e lo rigira guardandolo attentamente. Si sofferma sul retro. Legge, guarda. L’aria condizionata al massimo mi gela il sudore sotto la camicia. Il davanti è l’altro lato, che guarda? Mentre sto per dirgli, rispettosamente, che la sta guardando al rovescio. Mi dice quello che in Africa come credo nel resto del mondo farebbe rabbrividire chiunque, in qualunque frontiera:
“Questo documento non è valido”
Come sarebbe a dire, “non è valido”, l’ho pagato un occhio! E penso: “la solita scusa per spillare denaro alla gente.”
Il gendarme mi mostra il retro del mio documento in cui c’e scritto in un francese semplice e chiaro tutti gli stati in cui il documento è valido; segue elenco. Ebbene il Mali nell’elenco non compare.
Eppure siamo sicuri. E’ compreso, così come il Burkina, il Ghana… mancano anche quelli. Ricordiamo di aver consultato e commentato in un carnet di un amico in Italia l’elenco dei paesi e nel nostro ne mancano molti.
Sorpreso dal doganiere che ci diceva che non era valido penso rapidamente e dico che la copertina è vecchia perché nella mia città ne fanno pochi, cosa abbastanza vera, e hanno usato quelli che avevano ma che, si tranquillizzi, il documento è valido. Anche in Senegal, continuo nella difesa, abbiamo utilizzato lo stesso documento, vede? E mostro i timbri. Lui annuisce e mi mostra che nell’elenco il Senegal compare. Per forza lo avete usato. Sto arrampicando su placca, inizia a piovere e sono alto dal primo rinvio. (esempio alpinistico) Gioco l’ultima carta incalzante: vero ma abbiamo chiesto alla vostra ambasciata in Senegal. Abbiamo mostrato il documento e loro ci hanno assicurato, dopo aver controllato, che potevamo usarlo. Mento spudoratamente. Non abbiamo chiesto proprio nulla ma il documento è sicuramente valido. L’ufficiale si alza, passa al suo attendente il carnet dicendo di prepararlo e dice che vuole vedere l’auto.
Usciamo fuori e vedendo la K7 ci chiede che giro facciamo e allora: via a una serie di spiegazioni sull’itinerario sulla preparazione dell’auto dei futuri incerti paesi…. Fumo, fumo, fumo.
Funziona. Sorride, ascolta interessato. Fa segno: rientriamo. Nessuna richiesta di regali. Documento timbrato.
Mentre esco dall’ufficio, vedo con la coda dell’occhio una coppia di motociclisti italiani incontrati poco prima alla frontiera senegalese, che entrano col carnet in mano.
Penso all’inevitabile confronto. Acceleriamo i passi, saliamo in auto. Via, via prima che se ne accorgano. Facciamo manovra nel cortile, ingrano la prima e lentamente avanzo verso l’uscita . Stop! A un passo dal cancello l’ufficiale, uscito di corsa mi ferma e mi invita ascendere dall’auto. Cosa che faccio immediatamente con aria stupita e indossando il mio sorriso migliore.
Tiene in mano l’altro carnet. Quello dei due motociclisti.
Ci siamo! Penso.
Mi mostra il retro della copertina, con tutti i paesi, Mali compreso e mi dice che “tutto è a posto, il documento è valido, avevo proprio ragione” e mi porge la mano, la stringe e torna in ufficio.
Sorprendente.
Non so che faccia avessi io in quel momento, ma sicuramente l’espressione doveva essere poco intelligente. Comunque fra lo stupito e il sorpreso risalgo in auto e ce ne andiamo.
Chissà un pilota del Mali, alla frontiera Italiana con un documento valido ma con la scritta sbagliata, come se la sarebbe cavata con i nostri doganieri. Dubitiamo che sarebbe andata così bene.
Una maledizione all’ACI, e via pensando a come fare per il prossimo stato mancante, il Burkina.

Medine, il Forte – 27 dic 2007

Primo forte del Mali costruito dai francesi all’inizio del 1800 quando avanzavano verso l’interno. C’era anche una bella stazione dei treni, una scuola, la prima del Mali, torri, cimitero, insomma una piccola cittadina in riva al fiume Senegal.



La pista per Bamako – 27 dic 2007

Queste si che sono buche!
550 km di pista. L’alternativa alla strada asfaltata che hanno appena costruito, anzi che stanno per finire.Passa dal nord del paese. In un tratto ci sono ancora i lavori in corso.
Eravamo indecisi se fare in fretta e guidare oltre 600 km su asfalto dritto, oppure fare la vecchia strada che passa a sud attraverso la ferrovia e il fiume.
La bellezza dei primi chilometri verso il forte ci ha impulsivamente portato verso sud.
La pista! La pista!

Bisogna smetterla di fare i romantici! Quando si dice “pista” in Africa significa tempo e polvere. Buche enormi. Tratti non segnalati e altri dove la strada sparisce dentro un villaggio.
Poi arriva la notte e si dorme in mezzo al nulla. Sotto un cielo stellato meraviglioso. Di fianco a baobab secolari. Col fragore delle rapide del fiume non lontano e con i tamburi del vicino villaggio nelle orecchie fino alle 4 del mattino. Probabilmente stanno “festeggiando” il rito antico e barbaro della proibita infibulazione.
Però, c’e’ sempre il pensiero che da soli, in mezzo a tutto questa bellezza isolata, basta un balordo che ci rovina la festa.
Si dorme come all’ancora in una baia col fondo roccioso: con un occhio e un orecchio aperto.

Poi si arriva ad un fiume. Un fiume? E il ponte dov’è? Non c’è? Come non c’è. Questo sulla mappa non c’era scritto!
E ora come si passa. Ah, bene c’è una chiatta che fa la spola.
A che ora passa? Come non si sa.
La solita storia degli orari africani.
Non si sa quando perché si è rotta? Forse domani?
Hanno portato il motore a Bamako in capitale (350 km lontano).
Mentre cerchiamo di capire cosa succede e contemporaneamente mando maledizioni perché è sparita dal portapacchi la pompetta col tubo di travaso del gasolio per le taniche, sul fiume, arriva qualcosa.
E’ la chiatta chiamata “bac” che arriva senza motore e spinta da pali di bambù.
“Vi abbiamo visto dall’altra parte e abbiamo pensato che volevate attraversare” ci dice il vecchio capitano della chiatta e ci spara un prezzo col quale forse intende garantirsi una serena vecchiaia.
Siamo i soli passeggeri e la K7 è già a bordo.

Inizia la contrattazione. Con calma. Sulla chiatta arroventata dal sole. Loro non hanno nessuna fretta di partire. Noi nemmeno (apparentemente). Possiamo tranquillamente far scendere subito l’auto e aspettare il motore. Mentiamo spudoratamente.
Il tutto dura un poco e riusciamo in qualche modo a dimezzare quasi il prezzo con qualche “cadeau” per i giovanotti “motore a bambù” e la promessa scherzosa che … spingo anche io.
Si parte con vento leggero al traverso e corrente nella stessa direzione. In quel punto si uniscono i due fiumi: il Bakoi e il Bafing e nasce il fiume Senegal. Lo stesso fiume che si butta in mare a San Louis. Abbiamo visto così la fine e l’inizio di questo grande fiume.
Sul fiume una serie di piroghe trasportano uomini, merci e moto.

Arrivata dall’altra parte cambiamo denaro da un commerciante di accendini. La banca c’e’ ma non cambia. Vestito in doppio petto blu completamente impolverato in un bugigattolo da 2,5 metri quadri stipato di merci impolverate, soprattutto accendini (?) è l’unico che con un generoso compenso si presta all’operazione. Facciamo il pieno in un distributore che funziona a manovella. Per soli 130 litri non vale la pena accendere il generatore di elettricità. Ovviamente smanovelliamo anche noi.
Aspettiamo con la venditrice di papaia l’arrivo del treno.
Che treno?

La pista che continua verso Bamako parte dall’altra parte del ponte della ferrovia. Molto più a monte del nostro attraversamento.
Il solo mezzo per prenderla è attraversare il ponte a cavallo delle rotaie. Ovviamente quando il treno non passa. Il capo stazione ci dà il via e allora, si va…

Finalmente a Kita – 27 dic 2007

Arriviamo di notte a Kita. Dormiamo parcheggiati nel cortile del Relais Turistique. Un albergo ad ore sporco e mal tenuto che un tempo ha forse vissuto momenti di prestigio. La discoteca è annessa. Fine danze ore 4 del mattino appena prima che i Muezzin comincino le loro preghiere urlate ad Allah, e quasi in concomitanza col treno che fischia per minuti il suo urlo di avvertimento prima di attraversare i binari, rigorosamente senza sbarre.
Se siete disperati e non sapete dove dormire ecco il punto: GPS N13° 02.338’ W009°29.215’

Bamako - 28 dic 2007

Eccoci in capitale!
Vivace città adagiata sullo sponde del fiume Niger.
Prima cosa pensiamo al visto per il Burkina Faso.
Ci rechiamo al consolato (che ha cambiato posto non fidatevi della Lonely).
GPS N12°37.860' W008°00.870'
Tre foto a testa 3 moduli compilati e 28.200 cfa a testa e in giornata abbiamo il nostro bel visto.
Facile.
Alloggiamo alla Missione Cattolica.
In centro, pulita e poco costosa. Inoltre consentono il camping in giardino. GPS N12°38.550 W008°00.220

Mobylette e Biciclette

Una quantità enorme di motorini, motorette, moto, velocipedi, e anche bici e cariolini.
Guidare per le strade di Bamako toglie anni di vita.
Sia per lo smog (tutti girano con mascherina) che per lo stress. Uno sciame numerosissimo di sfreccianti due ruote si infilano e sbucano in ogni dove.
Decidiamo pericolosamente di unirci al brulichio selvaggio e diventiamo anche noi ciclisti mascherinomuniti.
Qui ognuno ha il mezzo che ha.
Chi ha il motorino ha solo quello e aspira all'auto, chi ha la bici alla motoretta. Chi è a piedi...e cosi via.
Ma ognuno trasporta quello che deve col mezzo che ha.
Ecco allora che si vedono 4 verghe di tubolare strisciare come una coda irrigidita dallo spavento, dietro un lanciato motorino oppure 80 kg di pasta pericolosamente in bilico su una bici.

Capodanno 2008

Abbiamo scelto un locale rinomato per la musica.
Le Hogoon.
Il nome dei capi spirituali del popolo Dogon.
Suonavano diversi nomi, il più noto T.Diabatè. Suonatore di Kora. Incrocio fra arpa e chitarra.
Musica eccellente.
Menu, sulla carta ricco.
Compagnia ottima.
3 svedesi e una tedesca.)
Tavolo a bordo pista.
Tutto bene a parte che avevano cucinato per 5 ed eravamo in 500.

Le porzioni ve le lasciamo immaginare.
Ma siamo in Africa e ci va anche bene soffrire un poco la fame.
Insomma...
A mezzanotte nessuno ha fiatato.
Nessuno ha fatto un botto.
Nessuno ha stappato una bottiglia (sono mussulmani che tristezza!)
Mentre la musica suonava e qualcuno ancora sperava che portassero qualcos'altro da mangiare, al microfono a mezzanotte e 2 minuti hanno detto: "Siamo nell'anno nuovo".
E poi danze. Danze e musica.
Insomma...
Arrivati alla k7 verso le 4 del mattino, ci siamo fatti fuori un panforte intero e una bottiglia di ... non saprei dire ma era del 1999 ed era uno spumante.
Insomma, questo abbiamo trovato.
Però era fresco!
Buon Anno.

Il bimbo di Mirjana

Siamo usciti dalla città in viaggio verso Segou.
Abbiamo a lungo cercato la scuola EDEN frequentata da un bimbo adottato a distanza da una nostra amica.

Resoconto in Solidarietà.

Segou - 2 gen 2008

Cittadina sul fiume Niger dove fabbricano tessuti bellissimi con le pitture di fango: BOGOLON.
Campeggiamo nel parcheggio dell'hotel Indipendence, giustamente consigliato da guide e overlander.
Accesso alla piscina e buon ristorante. WiFi gratis.
GPS N13°25.800 W006°13.450'

Djenne – 3 gen 2008

Una deviazione e un traghetto per vedere la moschea più famosa del Mali.
Lo spettacolo è emozionante, peccato che l’atmosfera sia completamente rovinata dai locali che, come mosche sul miele, danno l’assalto a tutti quelli che hanno la pelle chiara. Automuniti o in gruppo.
Una continua, logorante, insistente richiesta di acquistare paccottiglia di ogni razza. Di offrirsi come guide, come accompagnatori. Dai 6 anni in su. Solo le donne sono escluse. Ma non è detto. Presto, con l’emancipazione che le libererà dai lavori domestici, saranno anche loro della partita.
Ogni gesto che si fa è seguito. Le ruote non sono ancora ferme che c’e’ già un presunto parcheggiatore che chiede cifre esorbitanti per guardare l’auto. E dopo averlo convinto che non ci fermiamo li ma che stiamo solo guardando la cartina, ecco che in qualche secondo ne arriva un altro che sostiene di essere lui il vero parcheggiatore. E si ricomincia.
Rimaniamo poco. Solo il tempo di vedere la fine della suggestiva preghiera e poi ci diamo a fuga, un poco disgustati da tanta insistenza.

Angelica - 3 genn 2008

Bici carica e sorriso smagliante. Una mano che saluta i bimbi sulla strada. Le braccia coperte di crema. E in quello che resta scoperto, si vede il bruno lavoro del sole.
Ecco Angelica. Italo americana che vive a Londra. Ha cinque mesi di tempo e sta facendo il giro del Mali da sola in bici. Ci scambiamo i telefoni. Buona fortuna!

Mopti – 4 gen 2008

Una città sul fiume Niger.
Il fiume è la sua vita. Il suo unico punto di interesse. Con lunghe lance chiamate “pinasse” si trasporta di tutto: uomini, mezzi e merci.
Da qui si può partire via fiume per raggiungere in 3 giorni la mitica Timbuktu.
Da là arrivano le lastre di sale portate dalle carovane di cammelli che partono dalle miniere del nord. In questi mercati viene segato e venduto a tavolette. Da qui il pesce essiccato del Niger parte per ogni direzione.
Il famoso mercato coperto è però in ristrutturazione.

Non sappiamo se lasciare l’auto al sicuro e raggiungere Timbuktu dal fiume. La tentazione è grande. Via fiume il tempo di percorrenza è incerto. Dai 3 ai 6 giorni con le barche che trasportano merci. Il costo è il più basso: 30 euro circa. Ma non danno nulla. Solo le assi o le merci su cui sedere. Con le pinasse più attrezzate il costo va dai 100 euro ai 200 euro ma ci sono inclusi pasti e materassino. Niente cabine ovviamente. La vera nave in questa stagione secca non ha abbastanza acqua per salpare. (il costo era lo stesso)
Il porto di arrivo però dista 18 Km dalla città e occorrerà poi prendere un mezzo e, una volta là, trovare alloggio.
Fra qualche giorno ci sarà un famoso festival musicale del deserto e immaginiamo che sarà tutto prenotato e i prezzi alle stelle.
Via terra invece abbiamo davanti 190 km di asfalto e 200 di pista. Sono per noi 2 giorni, ma saremmo autonomi.
Inoltre la tentazione di vedere il festival è grande, anche se parlano di biglietti dai 120 ai 250 euro a testa.
Nell’attesa di prendere una decisione, dormiamo alla missione cattolica. Centrale ma non particolarmente ben tenuta.
GPS N14°29.773’ W004°12.026’

Rimaniamo con la K7 – 5 genn 2008

Decidiamo di andare verso Timbuktu in auto. Rimanere senza alloggio durante lo svolgimento di un festival situato nel bel mezzo del deserto, non ci attira.
Inoltre tutti gli spostamenti sono da contrattare e qui sparano tutti prezzi folli.
Con la K7 siamo autonomi.
Ogni paesino ha la sua moschea di fango. Alcune particolarmente ben tenute.

Facciamo una deviazione e ci infiliamo in una pista di 30 km per andare a visitare Borko un paesino dove dicono esserci i coccodrilli.
La pista per arrivarci è lenta ma molto bella fra risaie, colline rocciose, distese di vegetazione adagiate in strette valli con piccoli fiumiciattoli.
Arriviamo quasi al tramonto. Ci resta meno di un’ora di luce.
Scopriamo con disappunto che per vedere i coccodrilli occorre che un vecchio cerimoniere venga e li “chiami”. Costo della “cerimonia” 12.500 CFA quasi 20 euro.
Da queste parti è una cifra da capogiro per 20 minuti di messinscena. (una guida in un giorno di cammino sulle falesie chiede ai turisti 9000 CFA.)
Offriamo 4000 CFA e lui rifiuta.
Con noi c’e’ un vecchio pulmino Peugeot con una famiglia di francesi. Siamo concordi a non farci prendere in giro e rapinare.
Si arrabbiano pure, quelli del villaggio quando diciamo che non ci interessa più vederli!
Ormai è buio e ci sono ameno 3 ore di pista per raggiungere il villaggio più vicino. Il preside della scuola ci accorda l’uso del cortile non recintato della scuola per “solo” 5000 CFA facendo immediatamente sfumare la voglia di lasciargli il materiale scolastico che abbiamo con noi.
Ci avviciniamo alla zona più turistica del MALI dove sparare prezzi assurdamente alti è diventato negli ultimi tempi cosa comune.
Notte di stelle e torce curiose che dal buio villaggio vagano come lucciole e ci sbirciano fugaci.

Il mattino dopo ripartiamo. La meta è quella delle dolomiti del MALI. La Monument Valley dell’Africa. Le falesie tra Douenza e Hombori. Peccato che nella notte si sia alzato un forte e freddo vento che solleva una fitta nebbia fatta di sabbia e polvere. L’Harmattan. Il vento della stagione secca che soffia per 3 mesi nel deserto è arrivato.
Peccato per il panorama.
Una piccola maledizione per averci fatto ritardare la partenza ad Andrea e Tiziano, si impone.

In questa parte di strada c’e’ una riserva di elefanti migratori che vivono in un’area di 1000 km di diametro. Ogni anno vengono dal Burkina fino a questa terra al confine del Sahara. Sono difficili da vedere. Infatti pur provando per ore a vagare per le piste dove li avevano visti di recente, non li avvistiamo.
Ad un distributore sotto la splendida roccia della Mano di Fatima, un ragazzetto 14enne ci dice che sa dove sono. Non ci vuole indicare il luogo, ma per “soli” 30.000 CFA ci porta lui a vederli.
Viene voglia di prenderlo a calci ma sorridiamo…

La pista per Timbuktu – 7 gen 2008

Eccoci sulla pista per la leggendaria Timbuktu! 200km di tolle-ondulè che da sud si spinge sempre più nel cuore del deserto. Sempre più nel territorio dei Tuareg.
Buche continue e regolari alte fino a 10 cm a distanza di 60 cm. Continue. L’auto si smonta si svita, si demolisce. E con lei la nostra schiena. Dicono di sgonfiare a 2.1 i pneumatici e fare i 60 km orari. “Diventa come piatta”. Dicono. Ognuno ha la sua ricetta, ognuno la sua velocità.
Noi decidiamo di fare come i locali motorizzati. Con pick up stracarichi e vecchi o con nuovi Toyota (sigh) scintillanti.
Prendiamo la pista che si forma a fianco a quella ufficiale. Di sabbia, collinette, piccole dune alberi ed arbusti spinosi secchi guadi. Velocità media di crociera 30 km orari. Si va piano ma senza vibrare come in centrifuga.

Alla fine della pista non si arriva in città.
Dopo tanta terra secca si trova acqua. Tanta acqua: la riva del fiume Niger che in questo punto si spinge dentro il Deserto. I Tuareg alla fine del primo millennio, scelsero questo punto per fondare il villaggio stagionale per i loro traffici commerciali. L’oro proveniente dal sud, i territori popolati da etnie nere. Dal nord arrivava il sale in lastre scavato nelle miniere del Sahara ai confini con l’Algeria. Un crocevia di commerci in un luogo strategico.
Per proseguire c’e’ un bac. Costa 14.000CFA. Da soli si paga. In 4 auto (massima portata) si divide.
In sole 2 ore e mezza, siamo sull’altra sponda. (40 minuti di traversata)
Arrivare a Timbuktu impieghiamo 7 ore. Pista faticosa, anche se non è stato un viaggio lungo come per Gordon Laing.
Ci istalliamo per la notte da Kristien al Caravanserai
Lo consigliamo vivamente. Camere splendide, economiche e con bagno. Possibilità di dormire sul tetto e di fare camping.
Noi camping! 2500CFA a notte. Prima doccia calda dopo un mese.
Ristorante, bar e musica Tuareg dal vivo.
GPS N16°45.867 W003°00.592

Timbuktu – 8 gen 2008

Povero maggiore Laing! Che delusione deve aver avuto girando per le mura della sua Timbuktu del 1826! Dopo secoli di leggende. Storie straordinarie, che facevano sognare studiosi, storici e ricercatori. Che facevano fremere esploratori, e cartografi. Ambita e desiderata da tanti avventurieri che hanno perso la vita invano per raggiungerla. Spedizione sperse nel deserto. Altre da sud vaganti invano fra foreste fiumi. Sfuggendo a tribù e inseguendo piste tracciate da voci e sentiti dire. Sete o Tuareg. Jungle o malaria. Che facevano sfumare nel sonno eterno i sogni della leggendaria Timbuktu.
Ed ora eccolo. Il maggiore del secondo reggimento dell’india dell ovest. Alexander Gordon Laing. Aggirarsi, primo europeo al mondo, fra le assolate strade della città proibita. Abitare settimane fra queste genti lontane. Fra gli edifici di questo villaggio. Polveroso e decadente già allora. Della sua magnificenza, della sua cultura raffinata. Degli illuminati studiosi e filosofi islamici che la abitavano nei secoli della sua grandezza ormai trascorsa, non rimaneva che qualche traccia remota e sepolta nella memoria. Solo le biblioteche dovevano ancora essere meglio fornite di testi rari e preziosi.

Non tornerà mai a casa per raccontare le sue sensazioni. La grande emozione del suo arrivo. L’enorme felicità e incredulità provata. Sarà ucciso sulla strada del ritorno.
Sarà probabilmente un francese due anni dopo, che ne raccontò le gesta. Renè Caillié. Che abitò due mesi in questa città raggiunta dopo un anno di viaggio. Fu il primo dei tre che riuscì a tornare a casa per raccontarlo.
Peccato la sua decadenza fosse iniziata già da 200 anni e quello che rimaneva assomiglia molto a ciò che si vede oggi.
Solo la storia degli oltre 40 esploratori conosciuti che ne tentarono la scoperta, e dei 4 arrivati, le danno ancora un senso turistico attuale.
Ci aggiriamo fra le vie e diamo un’occhiata alle case abitate da questi esploratori, immaginandoli entrare ed affacciarsi dalle finestre. Istallarsi e trovare refrigerio dal torrido clima. Chiudere queste porte un ultima volta lasciando la città per la via del ritorno.

Unica storia recente degna di nota è la rivolta dei tuareg di qualche anno fa. Una volta sedata è stato fatto un bel monumento con le armi riconsegnate bruciate e cementate.
Che ironia della sorte! Un tempo era la città ad essere viva e pulsante.
E gli occidentali ne erano banditi pena la morte.
Oggi che vive di poveri, antichi traffici carovanieri iniziati lontano nel tempo e persi nei meandri della memoria storica, sono proprio gli europei a ridargli vita. Il festival musicale che comincia a giorni la rivitalizza.
Ancora attuale una antica iscrizione Sudanese:
“Il sale viene dal nord. L’oro viene dal sud. Il denaro dai bianchi. Ma la parola di Dio, oggetti raffinati e racconti affascinanti, si trovano solo a Timbuktu.”

Siamo invitati a cena da 4 simpatici viaggiatori una coppia olandese con una land rover 110 e una coppia spagnolandese (olandospagnola?) con un toyota 100. Noi austeri nel giardino del Caravanserai stavamo per approntare una cena autopreparata. Loro in questo caso si sono concessi una bella camera con doccia privata. E una bella cena. Accettiamo volentieri facendogli assaggiare un poco di aceto balsamico. Abbiamo fatto la stessa pista per arrivare. Passiamo la bella sera a confrontare gli accorgimenti sulle auto e a raccontare aneddoti di viaggio e frontiera.
Loro decidono di andare al festival del deserto a 70 km da li. Noi siamo tentatissimi. Una bella febbre a 38,5 del giorno dopo ci toglie ogni dubbio.
La febbre in un viaggio del genere mette sempre la preoccupazione per la malaria.
Il naso che gocciola come una fontana tranquillizza.

Douenza – 11 gen 2008

In questo luogo di passaggio, inizio e fine della pista per Timbuktu alloggiamo proprio di fianco a una fabbrica di mattoni in terra nel Campemet di Jerome. Un simpatico francese con un grande passato di avventura.
Detentore del record Algeri-Cape Town (8gg e 11ore 4 minuti), 17 Parigi Dakar, selezionatore Camel Trophy… potrebbe raccontare per ore.
Buon alloggiamento sotto le tende e anche in camera. Ristorante. Semplice e pulito.
GPS N15° 00,546’ W002°56.761’

Verso i Dogon – 12 gen 2008

Ci muoviamo verso il paese dei Dogon attraverso una pista indicataci da Jerome. Una lista di villaggi ci guida. Nessuna traccia GPS. Previsione di guida: 10 ore.
La pista fra Douenza e Bandiagara si snoda fra dune e deserto. Fra falesie e rocce. Fra campi coltivati e villaggi. In ogni villaggio si arriva dagli altri. Da ogni villaggio si parte per campi, pozzi, torrenti e depositi di granaglie. Ci sono centinaia di incroci. E strade . E viottoli. La pista fra Douenza e Bandiagara è lunga 195 Km. E non ha una sola indicazione.
Non il nome del villaggio attraversato. Non la direzione per raggiungere quello dopo. Il GPS serve solo ad avere la certezza di poter tornare sui propri passi. Si chiede. Facile. Si chiede alla gente. Quella che si incontra sul sentiero. Facile. Ci sono ciclisti, venditori ambulanti in motoretta. Guidatori di asini su carretti vuoti, quasi sempre con famiglie. Carretti pieni di paglia o di legna, quasi sempre con ragazzini. Conduttori di somarelli in carovane, carichi di granaglie. Mandriani a piedi con i loro zebu. Donne con bambini fasciati sulla schiena e zucche di acqua o di panni puliti sulla testa. C’e’ un gran movimento. C’e’ a chi chiedere. Nessun problema. Facile.
Ma in queste terre lontane dalla città si parla solo il loro dialetto.
Il vocabolario di francese è limitato a “donne l’argeant” “Il faut che tu me donne cadeau”.”ça va, ça va bien”

Per niente facile.
Intendersi è un problema.
E allora noi “toubab” fermi sull’incrocio, o poco dopo, sull’incerta direzione si tenta un approccio per una risposta tranquillizzante.
Niente mappa alla mano. Non serve. Tanto loro non la sanno leggere. Probabilmente non ne hanno mai vista una. Loro non ne hanno bisogno. Li sanno a memoria i loro sentieri. La maggior parte di loro nella vita si è spostato di poco. E allora a noi conviene chiedere solo il paese più vicino.
Già chiedere quello più importante a 50 km potrebbe generare confusione e da qui risposte rischiose.
Provando a leggere meglio possibile. Cercando con scarsa fortuna di azzeccare la pronuncia, si “cita il paese successivo.
Eccoci allora impegnati nelle nostre acrobazie linguistiche, a pronunciare:
“Kaporokéné-Pe”
indicando contemporaneamente con la mano la direzione del sentiero scelto.
In genere le reazioni sono diverse a seconda dell’interlocutore.

Guidatore di carovana di zebù o di asini con mercanzie

Di solito sorride molto. “Va” e “viene da” lontano. Non ha la minima idea di come si chiama quel posto dove sta. Dove era o dove sarà fra poco. Ma sa esattamente dove sta andando e perché. Conosce la pista. Perché lui è la pista. La conosceva suo padre e il suo antenato che l’ha tracciata. Non sa una parola di francese se non “argeant”. Che userà con mano tesa, non appena avrete finito il vostro esercizio di pronuncia. Tempo perso. “Kapo prochéneé-Pe”

Viandanti maschi in genere

Ascoltano e annuiscono interessati. Davvero volenterosi e pericolosamente intenzionati ad aiutarvi. Ripetono ciò che dite annuendo. “E’ fatta!” Pensate.
Ma lo ripetono annuendo qualunque direzione diate alle vostre dita. Est? Si Ovest? Si: disarmante.
Quando pensate ormai di lasciar perdere, scoraggiati, è allora, proprio allora che pronuncieranno una parola che assomiglia alla vostra e ricominciate da capo.
Qualche volta pensate di aver capito. Pensate di aver felicemente concluso la comunicazione.
Si riparte allora rincuorati. Salvo, dopo qualche km di strada poco battuta fra i campi ad avere qualche dubbio. A ripensare alla conversazione e dedurre che si è capito solo ciò che si desiderava capire.
A volte invece ci si azzecca.
“Kaporopénépe-Re-pe”

Viandanti femmine in genere.

Di solito vicino hai villaggi. In entrata o in uscita. Sempre a piedi e con qualcosa in perfetto equilibrio sulla testa. Figli al seguito: facoltativi. Dipende dall’età.
In genere un pò timorose. Qualche passo distante. Ascoltano in silenzio e con molta dignità i nostri suoni:
“Kaporopeképe-Pe-pe”
Non sorridono e guardano con occhi intensi e curiosi.
“Para poro képé-Pe”
Dopo un altro poco di esercizi. Dopo aver indicato tutti i punti cardinali con i diversi suoni.
Ci si sente un poco imbecilli.
E si immagina, dietro a quel bel viso scuro, il pensiero di questa giovane donna d’Africa. Vedere questo toubab cinquantenne, sotto questo sole a picco, “…che con tutti i soldi che ha per permettersi questa bella auto, che nel villaggio non ne esiste una simile, né mai l’ho vista nella mia vita. Invece che starsene in un qualche bel posto con l’acqua comoda che esce dal tubo di ferro e senza zanzare, se ne viene qua. A emettere ridicoli suoni adatti a far sorridere i bambini”
“Kaporo pere pe-peé-Pe”
Si riparte un po avviliti.
Mai fermarsi a chiedere informazioni alle donne!

Toubab Cadeau – Filastrocca

Tubaab!
Ecco l’albero della cuccagna che viene!
Ecco il mio dono che si avvicina!
Dentro quell’auto col motore che geme.
Tubab! Tubaab!
Mollo la corda del pozzo che tiro.
Lascio il mio orto e le cipolle che estraggo.
Smetto il pesante mortaio che batto.
Tubabo! Tubaab! Tubaaaabo!
Lascio il mio gioco per dopo che aspetta.
Mollo la ruota e il bastone che spinge.
Smetto la cacca e corro giù in fretta.
Tubabo! Corro. Tubaabo! Corro. Tubaaabo!
Dai grandi ai piccini, femmine e maschi.
Nudi o vestiti, con stracci o puliti
Col moccolo o senza, con tutti i sorrisi.
Tubab! Tubab! Tubab! Tubab! Tubab! Tubab!
Corro con gli altri
Con gli altri saluto
Con gli altri urlo forte anche stando seduto.
Tubab! Tubaabo! Tubaaaaaaaaaaab!
Davanti a quell’auto mentre guardo di dentro.
Di fianco a quel vetro sbirciandoci dietro.
Dentro quella polvere dissolta dal vento.

Problema DAMMI!

Dammi una biro.
Dammi un soldino.
Dammi un regalo.
Dammi l’orologio.
Voglio un bon bon.
La manina è tesa e quasi sempre molto sporca.
Di terra, di fango, di cibo, di sterco.
E’ un grido disperato, a volte gioioso. Perentorio.
Voglio un cadeau.
Devi darmi un cadeau!
Dammi quello! … indicando tutto ciò che vedono nell’auto.

Ci sono due forti raccomandazioni del ministero del turismo.
Solo due fra le tante che si potrebbero fare. Solo due ma fortemente richieste e desiderate.
La seconda è di usare solo guide autorizzate.
La prima recita:
“EVITARE DI DISTRIBUIRE REGALI AI BAMBINI: SPICCIOLI, PENNE, CARAMELLE, ECC”
Noi turisti abbiamo questa responsabilità!
Aiutiamoli ad educare i loro figli. Non creiamo un popolo di accattoni.
Per il cuore tenero di un momento. Per rubare un sorriso ad un bimbo da dietro il nostro sicuro finestrino. Resistiamo a questa facile tentazione. Che rovina come un’infezione.
Facciamoli ridere, prendiamoli in braccio giochiamo con loro e diamo penne e dolci ai maestri e genitori in modo che siano LORO nei tempi opportuni a premiare i propri figli.
Non il tubab di passaggio.
Difficile lotta.

Nei paesi Dogon, pieni di turisti, i bimbi di 5-7 anni, stanno diventando violenti ed aggrediscono le auto a sassate se non fanno doni.
Colpa nostra.

Dogon - 13 gen 2008

Bandiagara è la frontiera per i paesi del popolo Dogon. Loro si considerano tali.
I Dogon dicono di no. Ci rechiamo a Sanga da dove parte un trekking di 15 km che visiterà i suggestivi villaggi di Ireli, Banani, Bongo e Gongoli. Attraverseremo la falesia dove sorgono ancora le case del popolo TELLEM che occupava l’area prima dell’arrivo dei Dogon. Visto che erano scavate nella roccia la credenza locale è che potessero volare. La guida è obbligatoria e può raccontare cose interessanti sugli usi e costumi. Tradizioni e superstizioni di questo interessante popolo. Ci sono inoltre oggetti, aree di terreno, cumuli di pietre che sono considerate sacre. Per noi è impossibile distinguerle ed è facilissimo commettere qualche errore sacrilego imperdonabile.
I sentieri che raggiungono i vari villaggi inoltre non sono segnati e senza guida non ci si sposta.
Le guide e i servizi sono cari e occorre contrattare per non farsi troppo mungere. 25.000 cfa per il nostro giro di un giorno. Incluse le tasse per entrare in ogni villaggio e i doni ai capi villaggio.

Saluto Dogon

Camminare con un Dogon attraverso un villaggio è curioso. Una specie di cantilena ripetuta come un eco, rimbalza fra i due che si incontrano. Dura 5 -10 secondi ma potrebbe durare molto di più. Dipende dalla volontà che hanno di andare avanti o dal rispetto che uno dei due deve all’altro.
Ecco come si svolge:
A) AGAPO (Buongiorno)
B) OH (A voi)
A) SEO (come va?)
B) SEO (come va?)
A) UMANAN SEO (La famiglia come va?)
B) SEO (come va?)
A) UNU SEO (I figli come vanno?)
B) SEO (come va?)
e via così con gli animali, la casa, il lavoro la salute…

La giornata è stata molto interessante. Il giro a piedi, anche se faceva un poco caldo per camminare, è stato bello e con paesaggi unici. Le tradizioni e gli usi come la casa delle donne dove si ritirano quando hanno il ciclo. L’area di discussione dei saggi del villaggio dove si risolvono le diatribe. I funerali, i matrimoni, le cerimonie sacre degli Hogoon, i capi spirituali, i vecchi che interpretano le impronte di volpe per predire il futuro,… Per comprendere meglio tutto questo occorrerebbe rimanere a lungo.
Purtroppo tutta l’area, gli abitanti, le guide i servizi sono cari e molto turistici. Si ha la sensazione di non trovare nulla di autentico, neanche la cordialità con cui i venditori ti avvicinano.

MALI - Impressioni sul paese

Il Mali è un bel paese. Una visita di due settimane lo scopre tutto. La parte interessante è nel centro attorno a Douenza. I paesaggi sono molto vari dal deserto alle falesie ai campi di riso. E così anche le genti che vi abitano. Dai Tuareg ai Dogon, e tutte le altre etnie sparse nel vasto territorio. Purtoppo nei luoghi turistici ci sono molti scocciatori che non hanno nel vocabolario la parola “non mi interessa”. A volte sono veramente estenuanti come forse succedeva nei paese del nord Africa tempo fa quando il turismo è iniziato. Questa sete di denaro facile, rende i prezzi altalenanti e a volte assurdamente alti. A fronte di servizi spesso molto scadenti.
Le strade principali che collegano tutto il paese sono ben tenute e fra pochi mesi tutte asfaltate.
La polizia è molto presente e non dà nessun tipo di problema ai viaggiatori in auto. Pochissimi controlli e molta gentilezza. Dogane veloci e facili in uscita e ingresso.

Cartelli, birre e curiosità